DOI: 10.5301/RU.2013.11501

Urologia 2013 ; 80 ( 3): 212- 224

ORIGINAL ARTICLE

FOCUS ON

Ruolo della radioterapia nei tumori urologici localmente avanzati e/o recidivati Roberto Bortolus Dipartimento Oncologia Radioterapia National Cancer Institute Aviano (Pn) - Italy GUONE (Gruppo Uro-Oncologico Nord Est)

Radiation therapy in locally advanced and/or relapsed urological tumors Abstract: Radiation therapy (RT) plays a fundamental role in the treatment of locally advanced and/ or relapsed urological tumors, as well as in palliation, or as definitive treatment, and even where integrated into a multi-modal approach. In operated renal tumors, positive margins or extracapsular extension show a positive impact of postoperative RT, with a reduction of relapses between 100% and 30%, while, in the case of palliation, treatments with RT at high doses are preferred. In advanced cancers of the upper urinary tract, RT plays a limited role, even if it seems to increase the level of disease control locally and, with the combination of cisplatin, survival rates too. An important reduction in the recurrence is also observed in locally advanced tumors of the urethra, with a recurrence of 60% after surgery, 36% after RT and 25% after pairing of the two. In locally advanced tumors of the penis, RT shows poorer results than surgery, and the addition of postoperative RT does not seem to add any further outcome, except where, in the presence of a positive inguinal dissection, the postoperative RT reduces lymph node recurrences by 60%-11%. Interesting data for the preservation of the organ are reported with reference to the combination with chemotherapy. In the tumors of the testis, it is still disputable whether the treatment of residual masses after chemotherapy may be appropriate, with a view to a possible salvage radiotherapy. In the treatment of the prostate, the role of RT is consolidated and evolving with the progress of dose escalation, the association with hormonal therapy, new technologies, new possibilities of IMRT and proton therapy and various studies on multi-modal approaches (hormone therapy, surgery, radiotherapy, chemotherapy). Cystectomy is the gold standard for the treatment of locally advanced bladder cancer, even though there is a revived interest in multimodal treatments (transurethral resection, chemotherapy, RT) that may allow the organ preservation. Postoperative radiotherapy, which can reduce by 50% to 20%-5% local recurrences that are highly correlated with distance failure and with survival, should be revised in the light of modern RT techniques that can further increase local control levels and reduce the toxicity significantly. Key words: Radiotherapy, Advanced tumor, Prostate, Bladder, Upper urinary tract, Penis, Urethra Parole chiave: Radioterapia, Tumore avanzato, Prostata, Vescica, Alte vie, Pene, Uretra Accepted: August 20, 2013

INTRODUZIONE La radioterapia (RT) occupa un ruolo fondamentale nei tumori urologici localmente avanzati e/o recidivati sia nella 212

palliazione che come trattamento definitivo o integrato in un approccio multimodale. Nei tumori renali operati, la presenza di margini positivi o l’estensione extracapsulare ha evidenziato un impatto positivo della RT post operatoria

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Roberto Bortolus

con riduzione delle recidive dal 100% al 30%, mentre nella palliazione sono da preferire trattamenti di RT ad alte dosi. Nei tumori avanzati delle alte vie la RT ha un ruolo limitato anche se sembra aumentare il controllo locale della malattia e, con l’associazione del cisplatino, anche la sopravvivenza. Un’importante riduzione delle recidive si osserva anche nei tumori localmente avanzati dell’uretra con recidive del 60% dopo chirurgia, del 36% dopo RT e del 25% dopo l’associazione delle due. Nei tumori del pene localmente avanzati, la RT dà minori risultati rispetto alla chirurgia, e l’aggiunta di una RT post operatoria non sembra aggiungere nulla, tranne nei casi di linfoadenectomie inguinali positive in cui una RT post operatoria riduce dal 60% all’11% le recidive linfonodali. Dati interessanti, per la conservazione d’organo, sono legati all’associazione con chemioterapia. Nei tumori del testicolo rimane il dubbio se trattare o meno masse residue dopo chemioterapia, nell’ottica di una radioterapia di salvataggio. Sulla prostata il ruolo della RT è consolidato ed in continua evoluzione con l’introduzione della dose escalation, l’associazione con terapia ormonale, lo sviluppo di nuove tecnologie, le nuove possibilità terapeutiche della IMRT e dei protoni e di pari passo con vari studi di approccio multimodale (terapia ormonale, chirurgia, radioterapia, chemioterapia). La cistectomia rappresenta il gold standard del trattamento dei tumori vescicali localmente avanzati anche se c’è un rinato interesse verso un trattamento multimodale (resezione transuretrale, chemioterapia, RT) che consenta una conservazione d’organo. La radioterapia post operatoria, che è in grado di ridurre dal 50% al 20%-5% le recidive locali che sono altamente correlate con il fallimento a distanza e con la sopravvivenza, andrebbe rivista alla luce delle moderne tecniche di RT in grado di incrementare ulteriormente il controllo locale e di ridurre in modo significativo la tossicità.

1.  Neoplasia renale La radioterapia nei tumori renali, da sempre considerati poco radiosensibili, non ha mai avuto un grosso impatto in campo uro-oncologico, del resto i primi dati, risalenti agli anni Settanta, mostano come, con le tecniche di allora, la radioterapia post operatoria nei tumori renali localmente avanzati non sembrava ridurre l’incidenza delle recidive locali, loco-regionali e a distanza, evidenziando, di contro, unincremento degli effetti collaterali (1). In una pubblicazione successiva del Copenhagen Renal Cancer Study

Group, uno studio su un gruppo di 72 pazienti con stadio II e III trattati chirurgicamente, e successivamente randomizzati ad una radioterapia adiuvante verso un atteggiamento osservazionale, non evidenziava un impatto significativo sulla sopravvivenza ad un follow-up mediano di 26 mesi (50% vs 62%) (2). Altri studi randomizzati hanno valutato il ruolo della radioterapia prima della chirurgia (neoadiuvante) o dopo la chirurgia (adiuvante) nei tumori renali localmente avanzati. Nessuno di questi ha dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza dei pazienti sottoposti a radioterapia, mentre, in relazione probabilmente alle tecniche d’irradiazione, alla strumentazione del momento, ed al mancato controllo della tossicità, in tre di essi si è evidenziata una tendenza ad una minore sopravvivenza, anche se nessuno studio ha arruolato un numero sufficiente di pazienti per poter dimostrare o escludere una differenza significativa in termini proprio di sopravvivenza globale (3-6). Il miglioramento delle tecniche d’irradiazione ed una strumentazione sempre più ricercata, l’utilizzo di piani di trattamento basati sulla TC, il diffondersi della tecnica 3D e della IMRT, hanno portato ad una rivalutazione del ruolo della radioterapia post operatoria. Uno studio retrospettivo in pazienti selezionati per la presenza di margini positivi o per estensione perirenale della malattia, ha evidenziato un recidiva locale nel 100% dei pazienti senza terapia adiuvante e del 30% in quelli trattati con radioterapia postoperatoria (7). Ciononostante, per i pazienti ad alto rischio, sono necessari studi randomizzati per valutare il beneficio della radioterapia adiuvante in termini di controllo locale. Ulteriori studi comparativi, pur non evidenziando un impatto significativo sulla sopravvivenza, dimostrano tuttavia un maggiore controllo locale con l’utilizzo della radioterapia post operatoria (8) nei casi ad alto rischio recidiva, per invasione del grasso perirenale, per infiltrazione vascolare, per margini positivi, a dosi di 45 Gy con boost fino a 50-55 Gy (9). Un ruolo importante, in caso di recidiva locale, si ha nella palliazione del sintomo con l’utilizzo di alte dosi di radiazioni e risposte in circa il 50% dei casi (10). In caso di inoperabilità e/o in pazienti ampiamente selezionati, alcuni autori hanno condotto studi con l’utilizzo di alte dosi di radioterapia. Uno studio di fase I con l’utilizzo di una dose di 4 Gy per frazione per un totale di 4 frazioni, non ha evidenziato tossicità e ad un follow-up di 12 mesi, con un caso di scomparsa di cellule tumorali, i risultati sono sembrati incoraggianti (11) soprattutto in relazione al fatto che su modelli animali una dose di 40 Gy non risulta

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essere ablativa (12). In un altro studio retrospettivo su 30 pazienti con neoplasia renale inoperabile o metastatica, 82 lesioni sono state trattate con alte dosi per frazione usando varie schedule di frazionamento (8 Gy × 4, 10 Gy × 4, 15 Gy × 2 or 15 Gy × 3) ed ottenendo una risposta completa nel 21% delle lesioni trattate e una risposta parziale nel 58%. Il follow-up mediano era di 52 mesi (range 11-66 mesi) per i pazienti viventi e di 18 mesi per quelli, metastatici all’esordio, deceduti (13). Le risposte soddisfacenti e la minima invasività giustificano tale approccio all’interno di trial clinici, rimanendo la radiochirurgia, al momento, un trattamento sperimentale (9).

2.  Carcinoma uroteliale e delle alte vie I tumori delle alte vie rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie per sede - pelvi (10% di tutti i tumori renali) e uretere - e per estensione dell’infiltrazione, che va da un’invasione del parenchima renale, al grasso peripelvico a quello periuretrale. La radioterapia gioca un ruolo importante nella palliazione dei sintomi, come il controllo del dolore o del sanguinamento, spesso associati nelle forme localmente avanzate delle alte vie. Pazienti con malattia avanzata, operati, hanno una sopravvivenza a 5 anni variabile dallo 0% al 34% (16-19) con un tasso di recidiva locale del 45%60% (20-22) ed una tendenza alla metastatizzazione che è maggiore nelle neoplasie dell’uretra rispetto a quelle della pelvi (55% vs 19%) nei pT2/3 (23). Controverso è il ruolo della radioterapia in adiuvante. Nelle forme operate ad elevato rischio, il ruolo della radioterapia rimane limitato anche se sembra aumentare il controllo locale di malattia (14, 19, 20, 24), mentre l’associazione con il cisplatino incrementa la sopravvivenza cancro specifica (41% vs 76%, p = .06) e la sopravvivenza globale (27% vs 67%, p = .01) rispetto alla sola radioterapia adiuvante (15). Risultati opposti sono stati pubblicati in un altro studio su 26 pazienti (11 in stadio B e 15 in stadio C) trattati con chirurgia radicale e radioterapia adiuvante con 45 Gy; ad un follow-up mediano di 45 mesi, la terapia adiuvante non sembra aggiungere nulla, in termini di controllo locale e di sopravvivenza, rispetto a studi di sola chirurgia (25). In una recente revisione si è visto come negli studi che utilizzavano la radioterapia adiuvante, le recidive locali variavano dal 9% al 38% con una sopravvivenza a 5 anni tra il 21% ed il 49%, mentre negli studi di sola chirurgia le recidive variavano dal 45% al 65% con una sopravvivenza a 5 anni tra il 17% ed il 33% (15, 20-22, 26, 27). Benché questi risultati sembrino interessanti, sono necessari studi 214

randomizzati di confronto con numerosità maggiore per definire l’esatto ruolo della radioterapia adiuvante nei tumori localmente avanzati delle alte vie.

3.  Tumore primitivo dell’uretra I tumori dell’uretra sono rari rappresentando l’1% dei tumori urologici (28). Molti pazienti si presentano con malattia localmente avanzata con infiltrazione delle strutture vicine, vescica, prostata, vagina. Lesioni maggiori di 4 cm di diametro, nelle donne, non hanno una sopravvivenza a 5 anni se trattate con la sola chirurgia o la sola radioterapia, mentre la combinazione di una chirurgia radicale e della radioterapia è curativa nel 25% dei casi (36). Le recidive locali sono dell’ordine del 60% dopo chirurgia radicale, del 36% dopo radioterapia radicale e del 25% dopo la combinazione delle due (38). L’aggiunta di una brachiterapia come boost, ha portato ad un incremento del controllo locale della malattia dal 32% al 77% a 7 anni (39) con una sopravvivenza libera da malattia a 3 anni del 57% (29% con la sola radioterapia, 0% con la sola brachiterapia) (38). Oltre al ruolo di palliazione dei sintomi con l’utilizzo di schemi di radioterapia ipofrazionati, nel tumore uretrale localmente avanzato, sono molti i tentativi di un trattamento integrato chemio-radioterapico e chirurgico con incremento del controllo locale e della sopravvivenza (29-35). Lo studio più significativo riguarda una corte di 18 pazienti maschi affetti da carcinoma avanzato dell’uretra, trattati con radioterapia (45-55 Gy) e chemioterapia (5 florouracile e mitomicina) in cui si sono ottenute risposte complete nell’83% dei casi con una sopravvivenza globale e cancro specifica a 5 anni, rispettivamente del 60% e 83% (30). Risultati eccellenti sono stati riportati anche nei tumori localmente avanzati dell’uretra femminile, con la combinazione di radioterapia a dosaggi variabili da 30 a 60 Gy e chemioterapia con l’utilizzo di vari farmaci come la mitomicina C, il 5 fluoruracile o il cisplatino (32, 33, 35, 37). Nell’ultima decade ha preso sempre più piede, nei carcinomi squamosi dell’uretra, il tentativo di preservazione d’organo soprattutto in relazione all’affinamento di tecniche di radioterapia come l’intensità di dose modulata (IMRT) che hanno portato ad una riduzione della tossicità e ad un incremento del controllo della malattia.

4. Pene Sono tumori rari in cui nei T3 la chirurgia rappresenta il trattamento standard. La radioterapia, nei T4 trattati con

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chemioterapia neoadiuvante, rappresenta un’alternativa ad un trattamento radicale chirurgico, quindi non solo controllo della diffusione del tumore e controllo, nella palliazione dei sintomi, ma, in casi selezionati, valida alternativa alla chirurgia radicale. Una dosaggio di 60 Gy dato per via esterna, o un dosaggio di 45-50 Gy per via esterna con un boost di brachiterapia, sembrano in grado, dopo una chemioterapia, di consentire una preservazione d’organo in una percentuale variabile dal 39% all’80% dei casi (4042).Le recidive locali sono maggiori dopo la radioterapia rispetto alla chirurgia anche se la chirurgia di salvataggio è in grado di restituire un ottimo controllo locale (41). Ci sono dati anche sul ruolo della radioterapia in postchirurgia, per forme avanzate in cui non vi è una radicalità chirurgica. Recidive locali dopo chirurgia incompleta e radioterapia post operatoria sono riportate variare dal 25% al 28% (40, 43). Questi studi hanno presentato dati di sopravvivenza libera da progressione, a 5 anni, del 64,5% con una sopravvivenza globale del 56,6% (43). Studi con associazione del cisplatino o del 5 fluorouracile per tumori localmente avanzati sono stati proposti (44, 45), anche se, pur con la scarsa numerosità, qualche risultato discreto e la estrapolazione di dati da tumori perineali simili, fanno ritenere la chemio-radioterapia come un’associazione potenzialmente efficace (46). Un discorso a parte merita l’utilizzo della radioterapia in adiuvante in caso di linfonodi positivi dopo la chirurgia dei pazienti a rischio elevato; in uno studio retrospettivo, le recidive regionali dopo linfoadenectomia inguinale per linfonodi patologici erano dell’11% nei pazienti che avevano eseguito una radioterapia adiuvante e del 60% in quelli senza radioterapia (47). La numerosità dei campioni degli studi pubblicati, è molto limitata, in attesa di trattamenti più efficaci, dell’utilizzo delle tecniche innovative della radioterapia anche nelle forme localmente avanzate del pene, viene raccomandato un atteggiamento combinato aggressivo chemio-radioterapico chirurgico nelle forme T4 o con linfonodi positivi (47).

5. Testicolo Il ruolo della radioterapia nei seminomi avanzati è abbastanza limitato in considerazione dell’alto grado di curabilità con la chemioterapia. Nello stadio IIA e IIB con linfonodi minori di 5 centimetri, la radioterapia può essere data come trattamento definitivo con dosaggi rispettivamente di 30 Gy e 36 Gy (48), mentre negli stadi IIC, con metastasi linfonodali maggiori di 5 centimetri, la radioterapia ha un potenziale

ruolo come trattamento di salvataggio nel seminoma recidivato dopo chemioterapia di prima linea (49), anche se il trattamento delle masse residue dopo chemioterapia non è ancora ben codificato (50, 51). Molti punti sono a favore di una radioterapia di salvataggio, dalla elevata radiosensibilità del seminoma, alla minore morbilità della radioterapia rispetto ad una chemioterapia di seconda linea, al possibile utilizzo della chemio di seconda linea anche dopo eventuale fallimento della radioterapia di salvataggio (49). Per contro, le potenziali controindicazioni sono legate al fatto che un fallimento dopo la prima linea di chemioterapia può comprendere, al momento della recidiva, anche delle metastasi occulte, inoltre il volume irradiato è generalmente ampio con potenziale compromissione della riserva midollare ed un’eventuale chirurgia della massa residua risulta più difficoltosa, per la fibrosi dei tessuti, dopo la radioterapia che dopo la chemioterapia (49). In genere una recidiva, entro il secondo anno dopo una chemioterapia di prima linea, viene trattata con una chemioterapia di seconda linea, anche se, in casi selezionati, con recidiva limitata in sede sottodiaframmatica, la radioterapia può essere una valida opzione (49). Nei non seminomi, i favorevoli risultati di una radioterapia neoadiuvante o adiuvante ad una linfoadenectomia retro peritoneale riportati da vecchie casistiche (52) non sono stati più riportati, mentre nella palliazione dei sintomi nella malattia localmente avanzata il ruolo della radioterapia con tecnica flash trova spazio in casi selezionati e non più suscettibili ad una terapia sistemica.

6. Prostata La malattia localmente avanzata della prostata comprende sia l’estensione extracapsulare (T3) che l’invasione degli organi vicini come la vescica o il retto. Il tutto rientra nella classe di rischio molto alta secondo NCCN (53), anche se spesso le casistiche comprendono anche i pazienti a rischio alto (T3, Gleason 8-10 o PSA>20 ng/mL) (53). L’estensione extraprostatica, pur in assenza di metastasi, porta ad una prognosi negativa con il 26%-43% dei pazienti che muoiono entro 5 anni. I risultati della radioterapia, da sola, in queste forme tumorali, non sono soddisfacenti, con progressioni di malattia che si manifestano dal 17% al 54% (54-56), mentre l’incremento della dose con le nuove tecniche di IMRT guidate dall’immagine (IGRT), le nuove prospettive dell’adroterapia, l’associazione con la terapia ormonale e l’utilizzo della chemioterapia anche nelle forme non metastatiche, hanno portato ad un incremento signifi-

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cativo della sopravvivenza. Un’analisi retrospettiva su 906 pazienti ad alto rischio trattati con dose escalation fino a 86,4 Gy e terapia ormonale neoadiuvante e concomitante (6 mesi in totale) ha evidenziato, ad un follow-up mediano di 8 anni, una sopravvivenza libera da progressione biochimica del 55% per dosaggi > di 81 Gy e del 41% per i pazienti trattati con dosaggi inferiori (p = 0,0001) (57) con una percentuale di tossicità acuta e tardiva di grado 3 e 4 estremamente bassa (58). Un altro studio ha dimostrato un vantaggio di una dose di 78 Gy rispetto ad una dose di 70 Gy in termini di recidiva clinica (7% vs 15%) e di sopravvivenza libera da progressione che, per pazienti con PSA>10 ng/mL, era rispettivamente del 76% e del 39% con p = 0,014 (59). Il tutto con un’incidenza di tossicità GI maggiore del grado 2, a 10 anni, del 26% per dosi di 78 Gy e del 13% per dosi di 70 Gy. Tossicità GU di grado maggiore di 2 era rispettivamente del 13% e dell’8% (59). Anche regimi di ipofrazionamento hanno dimostrato un’efficacia incrementando la dose al focolaio, riducendo il numero di sedute senza incrementare in modo significativo la tossicità. Uno studio di fase III che comparava un trattamento convenzionale con 80 Gy in 40 frazioni verso un trattamento ipofrazionato con 62 Gy in 20 frazioni, non ha evidenziato differenze nella tossicità tardiva tra i 2 gruppi con una tossicità GI del 17% e 16% e GU del 14% e 11% rispettivamente per l’ipofrazionamento ed il frazionamento convenzionale; la sopravvivenza libera da progressione biochimica era dell’88% e 76% a 3 anni (60). Un altro studio di fase III su 124 pazienti, ha randomizzato un trattamento convenzionale con 76 Gy in 38 frazioni verso 63 Gy in 20 frazioni in pazienti ad alto rischio: anche in questo studio non si è dimostrato un incremento della tossicità, mentre per l’efficacia terapeutica di questa schedula di ipofrazionamento, è necessario un maggiore follow-up (61). Altri studi con ipofrazionamenti diversi hanno dimostrato sopravvivenze libere da progressione, a 5 anni, del 75% con un frazionamento di 70 Gy in 28 frazioni (62). Altre pubblicazioni riviste, fanno concludere che l’ipofrazionamento nei tumori prostatici ad alto rischio rappresenta una strada percorribile senza incrementare la tossicità (63).

6a.  Radioterapia + Terapia ormonale L’associazione della radioterapia alla terapia ormonale (HT) ha un razionale radiobiologico e uno clinico. Il primo si esplica sia riducendo i clonogeni cellulari per via apoptotica, in modo da ridurre il numero di cellule da eliminare 216

con RT, sia stimolando e incrementando l’effetto apoptotico dalla RT; il secondo riducendo il volume prostatico anche più del 40% (64), consentendo sia una riduzione delle dimensioni del campo d’irradiazione con risparmio degli organi vicini, che un incremento del flusso ematico tumorale riducendo l’ipossia cellulare con un’attività di potenziamento della RT. Diversi studi (RTOG 86-10, Quebec L-101. D’Amico Trial, RTOG 94-13, RTOG 94-08, TROG) hanno associato in vario modo la RT e la HT, purtroppo gli end point diversi, la selezione eterogenea dei pazienti, le modalità di somministrazione della HT, la sua durata, la dose di RT ed i volumi irradiati, non hanno consentito di trarre delle conclusioni definitive sull’associazione RT + HT. Una metanalisi su 4387 pazienti inseriti in vari trial clinici, ha dimostrato che la terapia ormonale associata alla radioterapia ha migliorato tutti gli outcome (65). Uno studio pubblicato su Lancet ha valutato 1057 pazienti con malattia T3 o T4 trattati con HT o con HT + RT. L’aggiunta della RT ha portato ad un miglioramento della sopravvivenza globale a 7 anni (74% vs 66%) (66). In un altro studio, il SPCG-7 (Scandinavian Prostate Cancer Group Study 7), noto anche come studio SFUO-3 (Swedish Association for Urological Oncology-3), sono stati arruolati 875 uomini in Norvegia, Svezia e Danimarca con cancro prostatico localmente avanzato (T3; 78%; PSA di 24 mesi e del 73% quando l’associazione con HT era inferiore (76). Non differenze nella tossicità urinaria, gastrointestinale e della sfera sessuale, sono state evidenziate da un altro lavoro che ha randomizzato un trattamento per via esterna verso un trattamento combinato per via esterna e protoni (77). Visti i costi della terapia con particelle pesanti e la difficoltà di reperire centri, malgrado i dati disponibili siano incoraggianti, l’adroterapia al momento deve essere eseguita e proposta all’interno di trial clinici e quindi considerata ancora nella fase di sperimentazione. Irradiare o non irradiare i linfonodi rappresenta un altro punto interrogativo per il radiooncologo. Benché l’irradiazione precauzionale dei linfonodi sia raccomandata nei tumori del capo e collo, nei tumori del retto, in quelli dell’ano, della mammella ed in altri tipi di tumori solidi, nel tumore localmente avanzato della prostata non ha un ruolo cosi chiaro. Uno studio dell’RTOG (RTOG 77-06) numericamente piccolo e datato non ha evidenziato vantaggi nella irradiazione della pelvi rispetto alla sola prostata; risultati simili emergono anche dal gruppo francese nel trial GUTUG-01, in cui la sopravvivenza libera da progressione, a 5 anni, era del 66% (RT pelvi) e del 65% (RT prostata) con una sopravvivenza glo-

bale rispettivamente dell’86,5% verso 88% (78). Un grosso studio randomizzato a 4 bracci, con 1323 pazienti (RTOG 94-13), ha dimostrato un vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione (60% vs 44% a 4 anni; p = 0,008) sia clinica che biochimica, dell’irradiazione linfonodale associata ad una HT neoadiuvante e concomitante, rispetto all’irradiazione della sola prostata con la stessa HT o con una HT adiuvante, e rispetto anche all’irradiazione linfonodale seguita da una HT adiuvante; nessun vantaggio sulla sopravvivenza globale (79). Un successivo aggiornamento, con un follow-up maggiore, ha ridotto il divario tra l’irradiazione pelvica + HT neoadiuvante e concomitante e gli altri bracci in termini di sopravvivenza libera da progressione biochimica (p = 0,43), mentre evidenziava un significativo trend di sopravvivenza globale tra il braccio della RT pelvica + HT neoadiuvante e concomitante rispetto al braccio RT pelvica + HT adiuvante (82% vs 74%; p = 0,019) (80). Purtroppo negli studi pubblicati, i volumi d’irradiazione sono vari; all’interno della definizione “Whole Pelvic Radiotherapy”, le dosi ed il frazionamenti, le tecniche usate, i limiti dei campi d’irradiazione, l’associazione con la terapia ormonale (quale, per quanto tempo, in neoadiuvante, concomitante o adiuvante), la complessità dei dati dello studio RTOG 94-13 e la loro continua evoluzione al variare del follow-up, rendono insoluta, al momento, la domanda: irradiamo o non irradiamo i linfonodi nei tumori prostatici ad alto rischio (78)?

6b. Radioterapia post operatoria Un ruolo fondamentale ha anche la radioterapia nelle forme tumorali operate con rischio elevato di recidiva, parliamo di margini positivi, di vescicole e/o capsula infiltrata o perforata, di PSA elevato in un quadro ad elevata aggressività. Parliamo di radioterapia adiuvante (ART) quando la RT viene eseguita dopo la chirurgia per pazienti ad alto rischio, con PSA azzerato dopo 2 o 3 mesi dalla chirurgia, con inizio del trattamento intorno al 4° 6° mese (81). Parliamo, invece, di radioterapia di salvataggio (SRT) quando, dopo la chirurgia, ed in assenza di metastasi, il valore del PSA supera 0,2 ng/mL (con successiva conferma) (81). Sulla ART sono stati pubblicati 3 grossi studi randomizzati, lo studio SWOG 8794, il cui outcome primario era la sopravvivenza libera da metastasi, lo studio EORTC 22911, il cui outcome primario era il controllo locale in un primo tempo, la sopravvivenza libera da progressione successivamente, e lo studio tedesco ARO 96-02, il cui outcome primario era la sopravvivenza

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libera da progressione biochimica (81). La maggior parte dei pazienti sono stati trattati con una dose di 60 Gy, ritenuta, oggi, bassa. Questi tre studi, due con un follow-up maggiore di 10 anni, hanno documentato un significativo incremento della sopravvivenza libera da recidiva biochimica nei pazienti con invasione delle vescicole seminali, con margini positivi e/o estensione extraprostatica (82-84). Le recidive loco-regionali, nello studio EORTC (83), ad un follow-up mediano di 10,6 anni, erano dell’8,4% nel gruppo con ART e del 17,3% nel gruppo di sola chirurgia (sCH), mentre nello studio SWOG (82) erano, allo stesso follow-up mediano, l’8% con la ART ed il 22% nel gruppo di sola chirurgia. Interessanti sono anche i dati sulla sopravvivenza libera da terapia ormonale che per lo studio SWOG sono, a 10 anni, dell’84% (ART) e del 66% (sCH) (82), mentre nello studio EORTC, a 10 anni, aveva iniziato una HT il 21,8% (ART) e 47,5% (sCH) rispettivamente. Solo lo SWOG ha dimostrato un miglioramento significativo della sopravvivenza globale (74% in ART e 66% in sCH), mentre tutti e tre gli studi hanno evidenziato un incremento della sopravvivenza libera da pro-biochimica in caso di margini chirurgici positivi, con lo studio EORTC che non ha riportato differenze nella sopravvivenza in questa coorte di pazienti tra quelli con ART e quelli con sCH (82-84). Sulla radioterapia di salvataggio (SRT) ci sono pochi studi che paragonano pazienti operati, con recidiva clinica o del PSA che ricevono una SRT verso pazienti che non la ricevono (85, 86). La SRT migliora tutti gli outcome rispetto alla sCH. Risultati simili si sono ottenuti nel braccio di controllo dello SWOG 8794 e del EORTC 22911 in cui i pazienti con sCH venivano trattati, a ripresa del PSA, con una SRT e questi avevano tutti gli outcome migliorati rispetto alla sCH (82, 83). Da un’analisi di 48 studi sulla ART e 137 sulla ERT, sembra che i pazienti con ART abbiano outcome migliori rispetto ai pazienti con SRT (81). Al momento due sono gli studi che potrebbero dare una risposta al ruolo della ART e della SRT, lo studio Radicals con una doppia randomizzazione che prevede una ART verso una SRT ed ulteriore randomizzazione associando o meno alla RT (SRT o ART) una HT breve (6 mesi) ed una HT più prolungata (2 anni), e lo studio Raves (ART vs SRT con dosi di 64 Gy) per pazienti con margini positivi o pT3 (81).

7. Vescica Il carcinoma della vescica rappresenta la quinta causa di morte per neoplasia. Ogni anno sono più di 300.000 i nuovi casi nel mondo (circa 18.000 in Italia) e di questi il 20%218

25% si presenta in forma localmente avanzata. La cistectomia radicale è comunemente considerata il trattamento primario standard delle neoplasie vescicali invasive; l’asportazione della vescica ha tuttavia un impatto considerevole sulla qualità della vita, che l’introduzione delle tecniche di ricostruzione ha solo parzialmente ridotto. Nel tentativo di evitare la mutilazione chirurgica senza compromettere la sopravvivenza e sulla scia del ruolo della radioterapia (RT) in molti tumori nel fornire un trattamento radicale con la conservazione d’organo, la RT è stata utilizzata con ruolo sia come unico trattamento (approccio unimodale) sia in combinazione con la chirurgia (approccio bimodale), sia con chirurgia e chemioterapia (approccio trimodale). Non ci sono studi di confronto tra RT e chirurgia nei pazienti con malattia T2 e T3. La radioterapia, oltre che nell’ambito della strategia conservativa, è stata largamente utilizzata in quella frazione di pazienti che per comorbidità, età avanzata od assoluto rifiuto, non risultavano idonei ad una cistectomia radicale. Molti studi si sono indirizzati verso un trattamento conservativo con l’opzione chirurgica come salvataggio, tanto che in alcune aree come il Canada, il Massachusetts o il Regno Unito, il trattamento conservativo viene messo sullo stesso piano di quello chirurgico (87-89). I limiti della RT sono rappresentati dalla moderata radiosensibilità della neoplasia in questione, e dall’elevata probabilità che dosi alte di radiazioni su tutta la vescica possano indurre effetti collaterali tardivi, quali la riduzione della distensibilità della parete per una fibrosi radioindotta e la comparsa di teleangiectasie con possibili episodi di ematuria. Inoltre, la vescica rappresenta un bersaglio variabile, poiché la sua morfologia e le sue dimensioni possono modificarsi considerevolmente in rapporto al grado di distensione dell’organo. Le moderne tecniche di radioterapia con IMRT e IGRT consentono di definire in modo più congruo sia i volumi da irradiare che le variazioni nel tempo degli stessi. La radioterapia esclusiva è stata prevalentemente impiegata per il trattamento di pazienti non candidati a chirurgia per comorbidità od età avanzata. I risultati riportati, pur tenendo conto che si riferiscono ad una casistica selezionata negativamente, sono complessivamente inferiori a quelli della cistectomia radicale, sia in termini di controllo loco-regionale che di sopravvivenza; una revisione ha evidenziato come con la sola RT il ricorso ad una cistectomia di salvataggio si verifica nel 65%-75% dei casi (90), anche se la RT rimane l’opzione primaria nei pazienti con malattia locale invasiva e nei quali età o condizioni generali siano incompatibili con la chirurgia o che rifiutino la cistectomia. In un altro lavoro pubblicato, uno studio su

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87 pazienti con queste caratteristiche trattati con una RT ipofrazionata (67,5 Gy in 5 settimane), è stata riportata una sopravvivenza causa specifica a 3 anni del 46% con effetti tossici di grado 3 in soli 4 pazienti (91). L’integrazione tra la RT e la chirurgia nei tumori vescicali localmente avanzati è stata analizzata e valutata in molti studi, il confronto tra cistectomia (CH) con RT neoadiuvante e CH di salvataggio ha evidenziato un’incidenza di recidive locali variabile dal 7% per il gruppo RT + CH al 36% per la CH di salvataggio (92) in uno studio, e dal 24% per RT + CH al 37% per la CH di salvataggio (93). La RT pre-operatoria è risultata più efficace anche sulla sopravvivenza a 5 anni con percentuali del 46% vs 22% (94), del 39% vs 28% (95) e del 29% vs 23% (92) a seconda degli studi. Una meta-analisi di questi studi ha evidenziato una sopravvivenza media a 3 e a 5 anni del 45% e del 36% nel gruppo sottoposto a CH di principio dopo RT pre-operatoria e del 28% e del 20% in quelli trattati con RT primaria e CH di salvataggio (96). La RT a dose radicale (> = 60 Gy) con CH di salvataggio è stata confrontata con la RT pre-operatoria (20 Gy - 45 Gy) seguita da CH anche in un certo numero di studi retrospettivi non randomizzati (89, 97, 98) che però non consentono conclusioni sul ruolo della RT pre-operatoria. I risultati della radioterapia post operatoria devono essere necessariamente rivisti in un’ottica di maggiore modernità delle tecniche usate e quindi dei possibili risultati da ottenere. Se è vero che casistiche datate dimostrano riduzioni di recidive locali, dopo CH, dal 50% al 5-20% con una RT post-CH (117-119) e che questo è altamente correlato con il fallimento a distanza ed è suggestivo per un miglioramento della sopravvivenza (120), sono necessari studi che consentano di confermare e migliorare questi risultati riducendo al contempo la tossicità indotta dalla RT post operatoria.

7a.  Trattamento multimodale Risultati decisamente più brillanti si sono ottenuti con la terapia trimodale, che include la resezione endoscopica citoriduttiva, la RT esterna e la chemioterapia sistemica (CT) (99). In numerose esperienze cliniche con questo approccio conservativo sono stati ottenuti risultati paragonabili a quelli ottenuti con la chirurgia in casistiche simili (100). Non esistono peraltro studi randomizzati che confrontino il trattamento trimodale conservativo con la CH radicale, per cui quest’ultima è considerata tuttora il trattamento standard in questa malattia. Lo studio RTOG 85-12, condotto su pazienti non candida-

bili alla CH, valutava l’efficacia dell’associazione RT + CT con il cisplatino concomitante: a 5 anni, la sopravvivenza globale era del 52%, con un 42% di pazienti con vescica propria (101). Risultati interessanti emergono anche da uno studio tedesco in cui i pazienti, dopo una TURV radicale, venivano trattati con 60 Gy di RT e CT concomitante (giorno 1-5 e 29-33) con cisplatino e 5 fluorouracile. Alla TURV dopo 6 settimane dal completamento della terapia, l’88,4% dei pazienti non aveva evidenza di malattia, a 5 anni l’82% dei pazienti manteneva la propria vescica e la sopravvivenza cancro specifica, a 5 anni era dell’82%. Tossicità ematologica di grado 3 nel 26% dei casi, di grado 4 nel 6%, mentre una enterite di grado 3 era presente nel 21% dei casi (102). Un altro studio con RT + Gemcitabina dopo TURV ha evidenziato, ad un follow-up mediano di 74 mesi, una sopravvivenza a 5 anni del 70,1%, con un 73,8% dei pazienti che mantenevano la propria vescica (103), un’altra associazione con il cisplatino, con follow-up mediano di 63 mesi, ha presentato dati con una sopravvivenza globale a 5 anni del 49,8% e a 10 anni del 39,6% con un 40% dei casi che mantiene la propria vescica (104). Lo studio RTOG 97-06, disegnato per valutare la tolleranza alla CT adiuvante (CMV x 3 cicli) dopo RT + CT concomitante (CDDP 20 mg/m2 nei primi 3 giorni di ognuna delle 3 settimane di radioterapia) ha confermato la scarsa tolleranza alla CT adiuvante, con solo il 45% dei pazienti che hanno potuto completare i 3 cicli di CMV (105); 52 pazienti sono stati trattati con 2 frazioni al giorno (1,8 Gy alla pelvi e 1,6 Gy sulla neoplasia vescicale a distanza di 4-6 ore) per una dose totale di 64,8 Gy al tumore. La risposta completa del trattamento è stata del 74%, con sopravvivenza globale e con vescica intatta a 2 anni del 61% e 48% rispettivamente (105). Nell’RTOG 9906 infine è stato valutato l’impiego del paclitaxel come radio sensibilizzante in aggiunta al cisplatino, con lo stesso schema di iperfrazionamento, seguito da una CT adiuvante con cisplatino (70 mg/mq) e gemcitabina (1000 mg/mq), meno tossica rispetto allo schema MCV. I risultati preliminari a 2 anni hanno mostrato una risposta completa dell’87%, una sopravvivenza del 79% con una tossicità accettabile (106). Altri studi hanno dimostrato l’efficacia dell’associazione RT + CT, come quello francese che impiegava la RT + CT con cisplatino e 5 fluorouracile associata ad una RT iperfrazionata (3 Gy/2 volte die fino a 24 Gy) con un 77% di risposte complete ed una sopravvivenza a 5 anni del 63% ed un risparmio d’organo nel 60% dei casi (107), o quello italiano con risposte complete nel 90% dei casi, utilizzando il cisplatino ed il 5

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fluorouracile in infusione continua durante una RT iperfrazionata (1 Gy 3 volte die per 69 Gy totali) con sopravvivenza globale a 5 anni del 58,5% (108). L’approccio conservativo nel trattamento delle neoplasie invasive della vescica può tuttavia costituire una valida alternativa per i pazienti non eleggibili all’intervento di cistectomia per le loro condizioni generali e per i pazienti che rifiutano la chirurgia demolitiva.

7b.  Radioterapia palliativa Nei tumori localmente avanzati della vescica, laddove un trattamento radicale per estensione della neoplasia o per condizioni generali, non può essere eseguito, la RT ha un ruolo nella palliazione dei sintomi con controllo del sanguinamento o del dolore in circa il 60%-80% dei casi (109) sia con dosi e frazionamenti convenzionali (2 Gy al giorno) che con ipofrazionamenti: da 21 Gy in 3 frazioni in una settimana con una riduzione o scomparsa dei sintomi nel 46% dei casi (110) a 30 Gy in 6 frazioni (2 alla settimana) con un 43% di remissioni complete dei sintomi (111), a 17 Gy in 2 frazioni in 3 giorni, con scomparsa dell’ematuria nel

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Indirizzo dell’Autore: Roberto Bortolus, M.D. Dipartimento Oncologia Radioterapia National Cancer Institute Aviano (Pn) - Italy [email protected]

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or relapsed urological tumors].

Radiation therapy (RT) plays a fundamental role in the treatment of locally advanced and/or relapsed urological tumors, as well as in palliation, or a...
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