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Urologia 2014 ; 81 (4): 191-195 DOI: 10.5301/uro.5000102

ISSN 0391-5603

EDITORIAL

Infezioni della ferita chirurgica Gabriele Sganga Dipartimento Scienze Chirurgiche, Policlinico “A. Gemelli”, Roma - Italy

Surgical site infections Surgical site infections (SSIs) are recognized as a common surgical complication, occurring in about 2-5% of all surgical procedures. SSIs represent the third most frequent nosocomial infection, accounting for 14-16% of all infections observed in hospitalized patients and up to 38% of those observed among surgical patients. Knowledge of incidence, epidemiology, classification, process of wound healing, and pathogenesis of surgical site infection is of great importance. Given the high economic burden that infections provoke, beyond the increased morbidity and mortality, it appears mandatory to improve our tools in order to reduce their incidence, as a reduction of only 0.1% can result in a considerable saving of economic resources to be allocated to other activities, such as screening and prevention programs. Keywords: Antibiotic prophylaxis, Nosocomial infections, Surgical site infections

Le infezioni della ferita chirurgica o, meglio, le infezioni del sito chirurgico (SSI, Surgical Site Infection), come meglio definite dal National Nosocomial Infection Surveillance System (NNIS), rappresentano per incidenza il terzo tipo di infezione nosocomiale, precedute da batteriemie e infezioni delle vie urinarie e seguite da polmoniti (1). Per infezione della ferita chirurgica si intende “qualsiasi secrezione purulenta, ascesso o cellulite che compaia al di sotto di una ferita chirurgica dopo un intervento chirurgico entro 30 giorni dall’intervento stesso ovvero entro 1 anno in caso di impianto protesico chirurgico, con o senza esame microbiologico positivo”. Tali infezioni sono estremamente eterogenee, rendendo dunque difficile una determinazione precisa della loro epidemiologia. L’incidenza delle SSI, infatti, varia in maniera considerevole in funzione non soltanto del tipo di intervento, ma anche dell’ospedale, del paziente e del chirurgo (2). Le infezioni del sito chirurgico si attestano tra il 14% e il 16% delle infezioni nosocomiali e rappresentano la prima causa di infezione nosocomiale nei pazienti chirurgici. Circa il 38% delle infezioni nosocomiali dei pazienti chirurgici sono rappresentate da SSI (Tab. I). Esse si associano ad una considerevole morbilità ed è stato riportato che circa un terzo delle morti sono da ascrivere Accepted: October 30, 2014 Published online: December 19, 2014 Corresponding author: Prof. Gabriele Sganga Dipartimento Scienze Chirurgiche Policlinico “A. Gemelli” Largo Gemelli, 8 00168 Roma, Italy [email protected] © 2014 Wichtig Publishing

Tabella I - Percentuali di infezione della ferita nei vari tipi di chirurgia Tipo di chirurgia

%

Chirurgia addominale

5-10

Cardiochirurgia

3-5

Chirurgia vascolare

1-5

Protesi articolari

1-1,5

Chirurgia vertebrale

1-3

Chirurgia oculare

0,1

almeno in parte alle SSI. È importante sottolineare che le problematiche cliniche correlate con le SSI possono variare da elementi clinici di poca rilevanza sino a condizioni che possono compromettere la vita. Alcuni eventi clinici includono: ritardo di cicatrizzazione, danni estetici, cicatrici ipertrofiche sino a veri cheloidi, dolore persistente, limitazioni di movimenti (quando sono vicine alle articolazioni) e, non ultimo, un certo danno emozionale e psicologico. Le SSI rappresentano la causa più comune di infezione correlata all’assistenza (Health Care-Associated Infections, HCAIs) e gli studi di prevalenza probabilmente le sottostimano perché molte di esse insorgono dopo la dimissione.

Classificazione Sulla base dell’interessamento anatomico le SSI sono classificate a seconda che interessino l’area di incisione o gli organi e gli spazi sottostanti (3).

Infezioni ferita chirurgica

192

Di conseguenza si distinguono: - SSI incisionali superficiali: coinvolgono solo il tessuto cutaneo e sottocutaneo; - SSI incisionali profonde: coinvolgono i tessuti molli più profondi sottostanti l’incisione, al di sopra del piano fasciale; -  SSI organo/spazio (intracavitarie e/o interessanti un organo): riguardano ogni parte anatomica (per es., organi o spazi), diversa dalle pareti del sito e comunque sottostante i piani fasciali e riguardante gli spazi e gli organi contenuti nelle cavità sottostanti. Così, per esempio, in un paziente sottoposto ad un’appendicectomia e che successivamente sviluppi un ascesso intraddominale non drenato attraverso la ferita, l’infezione potrebbe essere ricondotta alla tipologia di un’infezione organo/spazio dell’addome. Tale classificazione, basata sul grado anatomico di interessamento dell’infezione, permette di prevedere gli effetti clinici e le possibili complicanze: - le SSI incisionali superficiali mediamente producono un ritardo nella cicatrizzazione, nel consolidamento e nella estetica della ferita chirurgica; - le SSI incisionali profonde possono provocare delle eviscerazioni e/o delle erniazioni precoci o tardive (laparoceli); - le SSI organo/spazio possono favorire la formazione di ascessi sottostanti e/o di vere fistolizzazioni di anse intestinali, nel caso della chirurgia addominale. Mediamente le SSI superficiali e profonde rappresentano i 2/3, mentre le intracavitarie, 1/3 di esse. Appare evidente che ognuna di queste situazioni può avere un notevole impatto sulla durata della degenza ospedaliera, sulla incidenza dei ricoveri in terapia intensiva, sulle ri-ammisioni in ospedale, sui costi e persino sulla mortalità (4).

Il processo di cicatrizzazione Il normale processo di cicatrizzazione e di guarigione delle ferite avviene attraverso tre fasi che spesso si sovrappongono: - infiammazione, che a sua volta si divide in una fase precoce (entro le prime 24 ore) e una fase tardiva (sino alle 72 ore successive); - rigenerazione; - maturazione. Il processo di guarigione delle ferite è assai complesso e coinvolge moltissimi tipi cellulari che interagiscono tra loro, citochine e vari fattori di crescita, proteine e carboidrati, che come una cascata interagiscono in fasi differenti e con diversa velocità all’interno e comunque entro i margini della ferita (5). Di seguito vengono riportati i tipi cellulari interessati nei vari processi coinvolti nella guarigione delle ferite: -  infiammazione: piastrine, neutrofili, linfociti, e macrofagi; - rigenerazione e maturazione: macrofagi e fibroblasti, essendo quest’ultimi coinvolti nella regolazione e deposito

del collageno nonché nei processi di contrazione della ferita (miofibroblasti). L’infiammazione precoce (entro le prime 24 ore) inizia con l’emostasi con fenomeni di vasocostrizione, formazione di trombina e aggregazione piastrinica. Le piastrine rilasciano citochine e altri fattori che influenzano l’attività dei leucociti e dei monociti. L’infiammazione tardiva (sino alle 72 ore successive) coinvolge la produzione e il rilascio di vasodilatatori che aumentano la permeabilità capillare facilitando il rilascio di globuli bianchi che, grazie a molecole di adesione e a meccanismi di emarginazione e diapedesi, si concentrano nell’area in via di cicatrizzazione costituendo una matrice libera da batteri e altri contaminanti e favorendo il tessuto di granulazione e la epitelizzazione. Nei giorni successivi si assiste a un aumento dell’attività mitogenica dei fibroblasti con sintesi di collageno e metalloproteinasi. La maturazione è l’ultima fase, dura per settimane sino a qualche anno, e completa il processo di guarigione e rigenerazione favorendo la maturazione del tessuto di granulazione, e la neovascolarizzazione con la trasformazione di fibre collagene immature in fibre mature che consentono l’elasticità del tessuto come lo era originalmente.

Patogenesi dell’infezione della ferita chirurgica L’insorgenza di un’infezione della ferita chirurgica dipende dal grado di contaminazione della stessa durante un intervento chirurgico, dalla patogenicità e dalla carica dei microrganismi contaminanti, il tutto bilanciato dalle capacità di difesa dell’organismo e quindi dalla efficienza del suo sistema immunitario (6). Generalmente, i microrganismi derivano dalla flora endogena del paziente, presente sulla cute e/o all’interno di organi “aperti” durante la procedura chirurgica. Non mancano, tuttavia, contaminazioni esogene provenienti da strumenti o ambienti o ferite traumatiche o da contaminazioni postoperatorie dopo cioè la chiusura della ferita (7). Infine, va citata una possibile contaminazione ematogena, che, per esempio, può colonizzare impianti protesici anche a distanza dall’intervento. Le procedure per prevenire l’infezione della ferita chirurgica mirano a ridurre e minimizzare il numero di batteri che eventualmente possono colonizzare il sito chirurgico: - rimuovere i microrganismi che normalmente si trovano sulla cute, sede dell’incisione; - ridurre la moltiplicazione logaritmica dei batteri che eventualmente contaminano la ferita (profilassi antibiotica); - aumentare le capacità di difesa dell’organismo (nutrizione, capacità immunitaria) o minimizzare il danno tissutale (normotermia, controllo glicemico); - evitare l’ingresso dei microrganismi all’interno della ferita, dopo l’intervento (medicazione della ferita).

Microbiologia La probabilità che si sviluppi una SSI è il risultato di una complessa interazione tra caratteristiche del microrganismo © 2014 Wichtig Publishing

Sganga

(grado di contaminazione, virulenza del patogeno), caratteristiche del paziente (stato immunitario, diabete ecc.) e caratteristiche intrinseche all’intervento (introduzione di materiale estraneo, entità del danno tissutale). Nella maggior parte delle SSI, i patogeni responsabili provengono dalla flora microbica endogena del paziente (8), correlate al distretto anatomico interessato dall’intervento. I microrganismi isolati con maggiore frequenza sono Staphylococcus aureus, stafilococchi coagulasi-negativi, Enterococcus sp, ed Escherichia coli. Il più comunemente coltivato è lo Stafilococco aureo, ma quando si aprono anse intestinali e particolarmente il colon si hanno contaminazioni multi-microbiche con presenza di enterobatteriacee e anaerobi. In caso di chirurgie protesiche (per es., protesi vascolari o protesi ortopediche), anche microrganismi poco patogeni comeloStaphylococcusepidermidis(coagulasi-negativo)possono essere causa di infezioni severe della ferita chirurgica. Un numero sempre maggiore di SSI riconosce tuttavia la propria etiologia in microrganismi multiresistenti quale, ad esempio, lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA). Tale dato può riflettere il crescente numero di pazienti chirurgici affetti da patologie gravi o immunocompromessi, nonché l’uso sempre più diffuso di antibiotici a largo spettro (8). La colonizzazione perioperatoria da S. aureus è fortemente associata ad un aumento del rischio di contrarre una SSI (9). Pertanto, sono numerosi gli studi che hanno preso in esame metodi diversi per ridurre la colonizzazione da S. aureus, o anche da MRSA, quali l’uso di mupirocina o l’uso routinario di vancomicina nella profilassi antibiotica chirurgica. Quest’ultima opzione, tuttavia, non raccoglie molti consensi. Le conclusioni di uno studio di metanalisi indicano una sovrapponibilità, in termini di SSI in pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia cardiotoracica, tra glicopeptidi e betalattamici, confermando dunque la tesi a sostegno dei betalattamici quali antibiotici di scelta per la profilassi antibiotica (10). La vancomicina dovrebbe invece essere riservata a particolari circostanze cliniche, quali un "outbreak" da MRSA, una elevata prevalenza di MRSA in ospedale o per pazienti identificati ad alto rischio di SSI ad etiologia da MRSA (storia pregressa di infezione o colonizzazione da MRSA) (11). Le SSI provocate da S. aureus sono associate ad esiti clinici particolarmente gravi. I pazienti che presentano una qualsiasi infezione postoperatoria ad eziologia stafilococcica sono a rischio di esiti avversi, tra cui 2 settimane aggiuntive di ospedalizzazione, una spesa sanitaria extra di oltre 49.000 dollari e un aumento della mortalità pari al 5% (11). Oltre alla flora endogena del paziente, i patogeni responsabili di SSI possono derivare anche da fonti esogene quali i membri dell’équipe chirurgica, l’ambiente della sala operatoria e le strumentazioni e i materiali introdotti nel campo sterile nel corso dell’intervento. Si tratta, in genere, di microrganismi aerobi, per lo più Gram-positivi quali stafilococchi e streptococchi, e in particolare di MRSA e VRE (Vancomycin Resistant Enterococci), per i quali una possibile modalità di trasmissione consiste nella frequente contaminazione di guanti e camici durante le cure © 2014 Wichtig Publishing

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del paziente, per cui basterebbero semplici precauzioni e scrupolose regole di igiene delle mani prima e dopo il contatto con pazienti infetti per prevenire l’estensione.

Classificazione degli interventi chirurgici Sulla base del grado di contaminazione intraoperatoria, gli interventi chirurgici si dividono in: 1. Puliti: per esempio, plastica erniaria; 2. Puliti-contaminati: per esempio, colecistectomia; 3. Contaminati: per esempio, chirurgia colon-retto; 4. Sporchi: per esempio, chirurgia delle peritoniti (8). - Gli interventi puliti rappresentano circa il 75% degli interventi, e la loro percentuale di infezione si aggira tra l’1,5% e il 4,2%. In genere sono di natura non traumatica e presuppongono la non apertura dei tratti respiratorio, genitourinario, digerente e prevedono l’assenza di errori tecnici. In teoria in questa categoria la profilassi antibiotica non sarebbe necessaria, a meno che non intervengano dei fattori di rischio e comorbidità legati al paziente (12). - Gli interventi puliti-contaminati hanno una percentuale di infezione inferiore al 10%. Ne fanno parte gli interventi chirurgici in cui si effettua apertura dei tratti respiratorio, digestivo in assenza di evidente contaminazione, o ancora apertura dell’orofaringe, dei tratti genitourinari e del sistema biliare purché non manifestamente infetti. Anche l’incorrere in un errore tecnico minore rientra in questa categoria. In questa categoria la profilassi antibiotica è raccomandabile. - Gli interventi contaminati hanno una percentuale di infezione variabile tra il 10% e il 20%. Trattasi di interventi a seguito di importante contaminazione del tratto gastrointestinale o ancora a seguito di apertura dei tratti genitourinario o biliare in presenza di urina o bile infette. In questa categoria vengono inclusi gli errori tecnici maggiori. La profilassi antibiotica è obbligatoria e prevede un ampliamento dello spettro di azione. Gli interventi sporchi comportano una percentuale di infezione della ferita tra il 20% e il 40%. Si tratta di interventi con franca contaminazione, di infezioni cliniche in atto, di visceri perforati, di raccolte purulente. In questi casi l’uso degli antibiotici è indispensabile per curare una preesistente infezione e si parlerà quindi di antibioticoterapia e non più di antibioticoprofilassi. Questa classificazione, basata solo sul grado di contaminazione durante l’intervento chirurgico, è stata perfezionata dal National Nosocomial Infections Surveillance System (NNISS), aggiungendo due altri importanti parametri: - le condizioni cliniche del paziente, misurate sulla base dell’ASA score, proposto dall’American Society of Anesthesiologists (Tab. II). - la durata dell’intervento chirurgico, considerando che un

Infezioni ferita chirurgica

194 Tabella II - Classificazione dell’American Society of Anesthesiologists Punteggio ASA

Condizione fisica

1

Paziente sano

2

Paziente con lieve malattia sistemica

3

Paziente con grave malattia sistemica che ne limita le attività, ma non è invalidante

4

Paziente con malattia sistemica invalidante che causa continua minaccia di morte

5

Paziente moribondo con attesa di vita 3 ore)

Nutrizione artificiale (TPN vs EN)

Contaminazione intraoperatoria

Insufficienza renale acuta

Catetere venoso centrale

Ascite

Bibliografia 1.

intervento che duri oltre le tre ore sia a maggior rischio di contaminazione intraoperatoria. La scelta di continuare la profilassi oltre le prime 24 ore del postoperatorio non è giustificata (13). In caso di interventi di lunga durata, la maggior parte delle linee guida, pur in assenza di dati inequivocabili, suggerisce di somministrare una dose intraoperatoria se l’operazione è ancora in corso dopo un tempo dall’inizio dell’intervento pari al doppio dell’emivita del farmaco impiegato. Ai fattori contaminanti in corso di intervento chirurgico, vanno aggiunti una veramente lunga lista di fattori di rischio

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[Surgical site infections].

Surgical site infections (SSIs) are recognized as a common surgical complication, occurring in about 2-5% of all surgical procedures. SSIs represent t...
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